Il documento conciliare Unitatis Redintegratio ha fornito un contributo straordinario al cammino di dialogo tra le Chiese cristiane. Si sarebbe potuto fare molto di più, ma è anche grazie a esso se quelle che un tempo erano cause di divisione oggi si possono definire solo differenze

di Paolo Ricca
Pastore e teologo valdese

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Dal documento conciliare Unitatis Redintegratio si possono ricavare quelle che io chiamo le “cinque perle” ecumeniche. Cinque affermazioni straordinarie, che avrebbero potuto fondare una nuova stagione nei rapporti fra le Chiese, ma purtroppo non è avvenuto. Queste “cinque perle” sono il fondamento di un edificio che poteva essere costruito, ma non lo è stato. Tante cose sono cambiate in meglio e noi siamo grati di questi cambiamenti. Ma il Concilio avrebbe potuto creare molto di più.
Prima di tutto, però, i fatti. Il primo, fondamentale, è il capovolgimento – operato dal Concilio – del giudizio dato dalla Chiesa cattolica, con Pio XI, sul movimento ecumenico. Nell’enciclica Mortalium animos (1928) Pio XI affermava che il movimento ecumenico (che lui chiamava pancristiano) era una assurdità, perché cercava una unità che già esisteva, a Roma sotto il Papa. Il Concilio ha capovolto questo giudizio, affermando invece che il movimento ecumenico è una creazione dello Spirito Santo. Il secondo fatto è legato alla preparazione del Concilio. Come è noto, l’assise fu preparata nel corso di tre anni: una commissione redasse documenti che i Padri conciliari avrebbero poi corretto, integrato, rifiutato e infine votato. Lo schema preparatorio del documento, poi chiamato Unitatis Redintegratio, aveva un capitolo intitolato “Principi dell’ecumenismo cattolico”. Quanti lo avevano curato pensavano che ci fosse un ecumenismo cattolico, un ecumenismo protestante, un ecumenismo ortodosso: cioè esattamente il contrario di quello che è l’ecumenismo. L’ecumenismo non è cattolico, né ortodosso, né protestante. È il movimento che vuole appunto superare, non rinnegare, le diverse confessioni. Se confessionalizzi il movimento ecumenico, lo neghi. Il titolo poi venne opportunamente cambiato in “Principi cattolici dell’ecumenismo”: l’ecumenismo è un movimento che coinvolge tutte le Chiese, le trascende, le trasforma e le rinnova.
Il terzo fatto è che per la prima volta – nella storia cristiana, non solo in quella della Chiesa cattolica – tutta la cristianità, a titolo diverso, era presente al Concilio. Pur con divisioni e tensioni, ma erano tutti lì. Gli osservatori delle altre Chiese non avevano diritto di parola, ma assistevano a tutto ciò che accadeva nell’aula conciliare. Erano informati. Ed ebbero un’influenza notevole. Senza la loro presenza, il Concilio non sarebbe stato quello che è stato. E veniamo alle “cinque perle” del documento Unitatis Redintegratio.
1. «I cristiani delle altre Chiese, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati in Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore». Questa affermazione cancella 500 anni (per noi valdesi 800 anni) di scomuniche. Se tu, cattolico, dici che io, valdese, sono incorporato in Cristo e mi consideri fratello nel Signore, che altro possiamo dire? Ma questa affermazione mette valdese e cattolico sullo stesso piano spirituale: sono fratelli nel Signore, appartengono alla stessa comunità cristiana. Purtroppo oggi nessuno lo dice più…
2. «Tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata alcuni, anzi parecchi e segnalati, possono trovarsi fuori dai confini visibili della Chiesa cattolica, come la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza, la carità, e altri beni interiori dello Spirito Santo». Fuori dai confini della Chiesa cattolica ci sono tutte queste stupende realtà, doni dello Spirito Santo. Mi chiedo: queste cose non bastano a fare la Chiesa? La Chiesa è qualcosa di diverso da una comunità in cui c’è fede, speranza e carità? Questo testo è di una potenza straordinaria, di una concretezza meravigliosa; afferma che, fuori dai confini visibili della Chiesa cattolica, c’è una Chiesa di Cristo in cui ci sono tutte queste realtà meravigliose. C’è la Chiesa!
3. «Le Chiese e comunità separate, quantunque crediamo che hanno delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto prive di significato e di peso, perché lo spirito di Cristo non rifiuta di servirsi di esse come di strumenti di salvezza il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica». Qui mi interessa l’affermazione che anche le cosiddette Chiese “separate” sono strumenti di salvezza, mentre per tanti secoli è stato sempre detto che erano strumenti di perdizione. Sono sicuro che chi è un po’ avanti nell’età si ricorda che, fino a qualche anno fa, ai cattolici era vietato entrare in una chiesa evangelica. Che svolta dire invece che queste Chiese sono strumenti di salvezza.
4. «La Chiesa, in quanto istituzione umana e terrena, ha continuo bisogno di riforma e a questa riforma è chiamata da Cristo». Questa parola “riforma”, tradizionale nel cristianesimo – basti pensare a tutti i movimenti monastici di riforma -, dopo la Riforma protestante è diventata parola proibita, tabù. Ora il Concilio dice che la Chiesa è chiamata da Cristo alla riforma, a una continua riforma. E questo è il modo di esistere della Chiesa. Concetto bellissimo. È molto importante che la categoria di “riforma”, a prescindere dal protestantesimo, sia entrata nella coscienza ecclesiale cattolica grazie al Concilio.
5. «Esiste un ordine o gerarchia nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento della fede cristiana». È questa la dottrina della gerarchia della verità cattolica. Il professor Oscar Cullmann, grande teologo protestante, diceva che questa è la più importante affermazione ecumenica di tutto il Concilio, perché distingue, all’interno del patrimonio teologico e dogmatico della Chiesa cattolica, e di riflesso di tutte le altre Chiese, tra ciò che è centrale – e che quindi dev’essere condiviso da tutti – e ciò che non è centrale, è periferico, meno importante, secondario, e quindi non ha bisogno di essere condiviso da tutti perché si realizzi l’unità cristiana. Faccio un esempio concreto: la dottrina della Trinità è centrale nel cristianesimo, è legata al cuore della rivelazione cristiana e quindi va condivisa da tutti per creare l’unità nella comunione della fede. I dogmi mariani, invece, che non sono condivisi né dal protestantesimo, né dall’ortodossia – che pure ha un profondo culto mariano – appartengono, secondo me, a quelle verità che non è necessario siano condivise da tutti per essere in comunione di fede.
In conclusione, bisognerebbe capire se oggi siamo ancora divisi come lo eravamo 500 anni fa. In altre parole, occorre chiarire se le divisioni di ieri sono ancora le divisioni di oggi. Io credo che permangono differenze che non sono necessariamente fattori di divisione. Abbiamo conquistato la categoria dell’unità nella diversità superando quella dell’unità nell’uniformità.