Un “Piccolo passo avanti” nel dialogo ecumenico.Firmato l'accordo CEI-UCEBI sui matrimoni interconfessionali

 “La nostra Chiesa, nel valutare i matrimoni fra una parte cattolica e una parte battezzata acattolica, ha progressivamente spostato l’accento dal timore della contaminazione e del rischio per la fede del cattolico alla sottolineatura di quanto unisce i credenti in Cristo”. Così il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, ha salutato la distensione dei rapporti tra Chiesa cattolica e battista italiane, raggiunta con la firma del Documento comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e battisti in Italia. L’accordo – siglato lo scorso 30 giugno e redatto sulla falsa riga del Testo comune tra cattolici, valdesi e metodisti del ‘97 – ha valore puramente pastorale e intende porsi come guida per i fidanzati di diversa confessione che intendono sposarsi, ma anche per i sacerdoti cattolici e i pastori battisti che guidano il cammino di preparazione della coppia e celebrano il rito interconfessionale. Un accordo, infine, che non annulla le differenze e le asimmetrie ‘contrattuali’, come ad esempio quella tra diritti e doveri nei due canoni, ma esalta il valore della diversità e del rispetto reciproco.
Il Documento, siglato congiuntamente dal presidente della Cei e dalla pastora Anna Maffei (presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia-Ucebi), giunge al termine di un “iter laborioso” di conoscenza reciproca, ha affermato Bagnasco, avviato il 12 marzo 2006 all’interno della “Commissione congiunta” copresieduta da mons. Vincenzo Paglia (presidente della Commissione per l’Ecumenismo e il Dialogo della Cei) e dal pastore battista Domenico Tomasetto. Un cammino bruscamente interrotto il 30 maggio dello scorso anno, quando l’assemblea della Cei bocciava il Documento comune (v. Adista n. 47/08), poco gradito a Benedetto XVI per le sue aperture alla “comunione interreligiosa” e per l’uso del termine “Chiese battiste”: di Chiesa ce n’è una sola, aveva già tuonato il card. Ratzinger da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, affermando l’unicità salvifica della Chiesa cattolica (v. Adista n. 61/2000). .
“Oggi siamo più consapevoli – ha chiarito Bagnasco il 30 giugno – che i matrimoni misti, in quanto unioni ‘nel Signore’ fra due credenti, costituiscono un’occasione quanto mai significativa per ribadire l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio, cellula base della convivenza sociale e strumento incomparabile di evangelizzazione”. I toni del Saluto di Bagnasco sono parsi distensivi e preludono ad esiti solo pochi anni fa insperati: ha parlato di “cresciuta capacità di dialogo ecumenico”; ha ribadito la necessità di “apprezzare ciò che ci unisce” e l’urgenza di non chiudersi ma di “conoscere meglio le peculiarità confessionali”; ha auspicato che a partire da questo Documento si provveda ad “incentivare e irrobustire” questo “spirito di fraterna collaborazione”.
Sulla stessa linea la presidente dell’Ucebi: “In questo momento e in questo Paese in cui si parla tanto di famiglia e contemporaneamente la si profana”, ha detto la pastora, questo 30 giugno rappresenta “un giorno da ricordare e da segnare sul calendario storico delle nostre Chiese perché ancora un piccolo passo verso la conoscenza, la comprensione reciproca e il servizio comune al mondo è stato compiuto fra i cristiani in Italia”. Il Documento, ha detto la Maffei, ha un duplice merito: segna un passo – “piccolo” ma “concreto” – sulla via del dialogo, dopo secoli in cui “la vocazione all’unità della Chiesa cristiana è stata disconosciuta e negata”; in secondo luogo, risolve positivamente la lacerazione vissuta dalle coppie miste, quando “le differenze confessionali fra Chiese cristiane vengono a frapporsi nel progetto di vita comune”: “Le rispettive Chiese non dovrebbero porsi più come concorrenti ma come luoghi di ascolto e di incoraggiamento alla comunione”.
Un 30 giugno memorabile, dunque, per i battisti d’Italia, anche se, ricorda la Maffei, “avremmo desiderato che con questo documento si facessero coraggiosamente ancora altri passi avanti, come consentire la condivisione della Cena del Signore ai coniugi, così come essi condividono pane e vino e tanto altro nella vita concreta della nuova famiglia. Tuttavia ci rendiamo anche conto che non può essere questo il tavolo dove decisioni simili vengono prese. Questo è però a nostro avviso il luogo dove scelte come queste vengono auspicate, sognate, preparate. Ed è quello che facciamo”. (Giampaolo Petrucci)

Da Adista  del 14 Luglio 2009