La modernità sfida le Chiese cristiane e cambia alcuni codici di relazione e di dialogo aprendo nuove prospettive di conoscenza e di reciproca solidarietà: dalla teologia alla pastorale di comunità

di Rosangela Vegetti

Incontro-intervista con mons. Buzzi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana

In prospettiva della celebrazione dei 500 anni della Riforma luterana che cadrà il prossimo 2017, si moltiplicano e si approfondiscono gli studi e gli incontri in chiave ecumenica. Abbiamo incontrato il prof. Buzzi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana in Milano, per molti anni docente alla Facoltà Teologica milanese e studioso anche del mondo protestante e gli abbiamo posto alcune domande.

 

Possiamo riconoscere dei  passi realmente compiuti nel cammino del dialogo tra i cristiani?

 

Cinquant’anni i fa era vietato a un cattolico varcare la soglia di una chiesa che non fosse cattolica. Ricordo la mia esperienza  da seminarista: amavo frequentare la chiesa evangelica del mio paese, era  grande scandalo, ed ero guardato in maniera strana dai vicini. Eppure trovavo in questi predicatori ed annunciatori qualcosa di affascinante perché la loro parola la sentivo viva e molto vicina al vangelo con uno sforzo continuo di attualizzazione per  renderla vitale  all’interno dell’esperienza ordinaria delle persone. Ed osservavo anche una certa ricettività da parte delle persone che negli incontri potevano interloquire e manifestavano una  fede anche semplice,  ma autentica  e basata sulla risposta corale.

Oggi  abbiamo accesso libero alle altre confessioni cristiane, abbiamo la possibilità di partecipare anche ai momenti di riti ufficiali, come a momenti informali di vita in cui magari si fa qualcosa insieme,  si comincia a mettersi insieme per pregare, inanzitutto, ma anche per organizzare qualche iniziativa come un viaggio insieme – ricordo dei pellegrinaggi in Germania sui luoghi della Riforma con degli ortodossi, dei fedeli riformati e anche dei cattolici –, sono esperienze utili per  abbattere i retaggi del passato che frenano o impediscono tentativi di maggior rilancio in chiave unitaria ed ecumenica.

 

Gli studiosi hanno già tracciato un cammino che va oltre i contrasti , ma si possono attenuare le differenze che segnano divisioni inconciliabili?

 

Direi che ormai tutta la teologia cattolica in grande misura ha già fatto proprio tutto un patrimonio proveniente dalle Chiese riformate,  partire dall’esegesi biblica dove ormai non ci sono più differenze né contrapposizioni di appartenenza. Permangono  linee di fondo di differenza, però è  giusto dire che delle tematiche che hanno diviso nel passato sono state superate e ora sono condivise.  Come per la giustificazione per fede:  ci siano voluti 500 anni da parte cattolica per accogliere quanto già detto in s. Paolo, che l’uomo è salvo a motivo della sua fede e non delle sue opere. In definitiva sono differenze teologiche, sfumature, differenze di scuola, ma il cuore di questa dottrina e di questa verità è acquisito.

 

Questa modernità costringe a rivedere tutti i parametri  di ogni esperienza ed offrirci  reciprocamente dei punti di appoggio e di esperienza. Si potranno superare le distanze tra comunità credenti?

 

I  problemi della modernità oggi non sono solo quelli di una sola chiesa o di una denominazione cristiana, sono i problemi di tutta la società occidentale e da questo punto di vista ogni appartenenza di fede, carica dei suoi valori e delle sue esperienze, dovrebbe però dialogare, dovrebbe ascoltare, reciprocamente può essere provocata e trovare anche delle risposte: tutto questo creerebbe maggior unione pur conservando a propria identità. Così la celebrazione del 2017 potrà aiutarci a conoscere meglio la Riforma e a riproporre il dialogo. Ma non si vedono  cambiamenti risolutivi ravvicinati.