13/05/2017

Tutto si trasforma e si può trasformare!

L’esperienze che mi porta a queste riflessioni ora è molto semplice da spiegare, vedendo la situazione da una prospettiva diversa (quella dell’affidamento ai servizi sociali in cui sto vivendo), ma nel concreto dei fatti è stato un cammino faticoso e alquanto lungo. 

Qui a Bollate (e come davanti a Gesù) siamo tutti uguali e tutti partiamo dallo stesso punto e per tutti l’unico obiettivo è quello di uscire cambiati e trasformati.

Dobbiamo e possiamo migliorare sempre, in tutte le situazioni e, soprattutto ora, dobbiamo trasformarci affinché ci venga restituita la dignità, che è poi quella che ci fa realizzare pienamente. 

Perché da questa esperienza possiamo trarre qualcosa di positivo a piccoli passi ma con grande impegno, coraggio e forza di volontà dobbiamo iniziare il cammino verso questa trasformazione, voluta prima di tutto da noi, ma anche aiutati da altre persone, che ci renderà più forti e consapevoli delle nostre capacità.

Capacità magari rimaste “nascoste” o che non credevamo di avere, ma che qualcuno ci ha fatto nuovamente scoprire: da qui iniziamo il nostro cambiamento/trasformazione affinché anche per noi avvenga il miracolo (interiore) della trasformazione dell’acqua delle giare di pietra al buon vino del Vangelo. 

Siamo accompagnati dalla fede che in questo cammino è importante e dall’umiltà di ricominciare a vivere. 

Grazie, Analisa

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21 Ottobre 2017

Varco il cancello trascinando la mia valigia.

Frastornato da mille pensieri e timori per questo mondo a me sconosciuto.

La mia esperienza carceraria è unicamente mutuata e filtrata dai tanti film americani visti, intrisi di violenze e di squallore.

Sono sorpreso dai modo garbati con cui un signore, che poi ho imparato a chiamare assistente,  mi registra.

Nella stanza di attesa una persona grosso modo della mia età, mi guarda e dice: “tranquillo, per noi è come se siamo in un pensionato”. Mah!?

Poi senza dire nulla, prende uno dei due sacchi e lo porta fino al box del reparto. Non sapevo chi fosse, oggi siamo nello stesso corridoio. Poi la trafila in infermeria.

E qui trovo persone “normali”.

Anche qui parole di incoraggiamento.

Al box l’ assistente mi guarda, poi guarda i due pesanti sacchi:

“prendi i sacchi e accompagnalo alla sua cella; dice con tono “normale” ad un giovane detenuto, il quale, una volta deposti i sacchi, senza dire una parola mi da una caramella e  va via. Non mi piace la parola cella, preferisco dire stanza, non mi piace la parola detenuto, preferisco compagno, di esperienza in questo che considero il nostro purgatorio.

E poi i ragazzi che subito mi chiamano per un caffè.

Il mio compagno di stanza, prodigo di consigli, che mi fornisce tutto ciò che serve per le prime necessità.

Il giorno dopo, inatteso, ma di grande conforto, in chiesa il cappellano si avvicina; mi chiede notizie sulle mie condizioni, sulla mia famiglia, la sua persona trasuda un senso di profonda umanità. Piango. Un pianto liberatorio e anche rassicurante.

Allora realizzo che in questo luogo, forse, c’è più umanità che fuori.

E mi da conforto, questa accoglienza, verso chi ha bisogno, senza chiedere chi è o da dove viene, ma riconoscendo in lui, al di là di ogni cosa,un uomo in mezzo ad altri uomini, accumunati dallo stesso destino.

Accoglienza è questo predisporre il proprio animo, con spirito di tolleranza e amore fraterno, alla comprensione per il proprio simile. E’ così, in questo posto, che per quanto migliore di altri, resta comunque un luogo dove i nostri affetti più cari restano lontani, che la permanenza può diventare meno pesante, e ,forse più accettabile.

Accogliere l’altro è un atto che porta i nostri pensieri dalla mente al cuore, una strada, a volte irta di ostacoli anche se è lunga solo 35 centimetri, ma che dobbiamo imparare a percorrere. Senza chiedere nulla in cambio, recependo l’invito del Signore: “vogliatevi bene l’un con l’altro come Io voglio bene a voi”.

Nella Bibbia leggiamo che Giacobbe accoglie gli Angeli /pellegrini, e, senza conoscere la loro essenza, apre a loro il suo cuore.

Cari compagni, vorrei concludere queste poche e modeste riflessioni con la speranza e l’augurio che ognuno di noi possa essere per il suo vicino l’Angelo di Giacobbe.