Appunti di viaggio: FIORI NEL DESERTO
Pubblichiamo alcune note che Carla Casella, socia di Cremona, ha preso durante il “cammino di pace” a Gerusalemme, promosso dal Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano

È stato il cardinale Tettamanzi a lanciare l’idea, ponendo come condizione che il cammino fosse ecumenico e che incontrasse a Gerusalemme il cardinale Martini.Il progetto è stato assunto dal Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano (CCCM), col sostegno della rivista Confronti, della agenzia Duomo e di cristiani a vario titolo impegnati nel cammino ecumenico e nei rapporti con Israele: in particolare i valdesi Paolo Naso, giornalista, e il pastore Daniele Garrone; don Gianfranco Bottoni responsabile per l’ecumenismo della Curia ambrosiana, Brunetto Salvarani della rivista Qol.

Sopraffatti dall’orrore
Lo Yad Vashem, il memoriale della Shoà è stata la prima tappa del cammino. Risuonano le parole di Giovanni Paolo II: “Qui siamo sopraffatti dall’orrore”…
Il cardinale Martini ha scelto di svolgere il suo ministero di “intercessione”, proprio a Gerusalemme.

Ministero di intercessione
Di questo inter-cedere, cioè camminare nel mezzo, il cardinale parlerà come di un compito di cui devono farsi carico le chiese cristiane, specie quelle d’Europa: camminare nel mezzo delle tensioni e dei conflitti, pregando ugualmente per tutti, stringendo la mano dell’uno e dell’altro, attendendo con pazienza, ma anche con creativa sollecitudine, che si pongano le condizioni perché le parti in conflitto giungano loro stesse a stringersi la mano. Mons. Martini usa l’espressione “fiori del deserto”, per tutti coloro che lavorano per costruire la pace, credono nel dialogo, e nella riconciliazione.

Noi possiamo cambiare
“Devi decidere che cosa ne fai di questa pena terribile”, ci ha detto un padre ebreo che ha perso la figlia quattordicenne in un agguato terroristico. “Non è destino di questa terra continuare a morire”, dicono i membri del Parents circle cui questo genitore appartiene, costituito da famigliari di palestinesi o ebrei vittime delle reciproche violenze: “il sangue è lo stesso, il dolore è lo stesso, le lacrime sono le stesse, ma noi possiamo cambiare, possiamo mettere le zeppe all’interno del muro di odio e di paura perché crolli definitivamente”. È stato poi emozionante percorrere le strade di Nevè Shalom / Wahat as–Salaam, dove ebrei e palestinesi, cristiani e musulmani, hanno imparato a convivere, senza rinunciare alla propria identità religiosa.

Non solo pietre
Dialogo, confronto, preparazione dei cuori per la pace, stanno alla base del piano educativo di padre Shoufani, sacerdote della chiesa greco-cattolica, premio UNESCO 2003 per la pace. La presenza cristiana in Israele è in progressiva diminuzione e rischia di venire testimoniata più dalle pietre che dalle persone. Va dunque sostenuta l’azione di quanti creano condizioni concrete che scoraggino l’emigrazione.

Il coraggio di essere cristiani
“Anche se i Cristiani sono meno del 2%, sanno operare con energia e coraggio, tanto che dirigono il 6% del sistema scolastico palestinese e 1/3 del sistema scolastico sanitario”, dice padre Mitri Raheb, pastore luterano palestinese direttore dell’International center gestito dalla sua chiesa. Il centro, che promuove anche iniziative artistiche e musicali, è il maggior fornitore di posti di lavoro intorno a cui gravitano cristiani di varie confessioni. 

Diversità non divisioni
Anche Gerusalemme riflette le divisioni dei cristiani. Ma ora le diverse chiese sono capaci di dire una parola comune. Si incontrano, prendono iniziative insieme, elaborano progetti: uno di questi è il catechismo comune per le scuole palestinesi.

Testimonianza ecumenica
Delle diciassette chiese che costituiscono il CCCM, undici erano presenti. A turno, i loro rappresentanti offrivano alle comunità incontrate un medaglione di bronzo con i simboli delle tre religioni e un solenne messaggio di pace. Uno dei momenti più alti del viaggio è stata la predicazione del Vangelo delle Beatitudini, tenuta sul lago di Tiberiade da mons. Tettamanzi e dal pastore Garrone. “Non ci siamo prestati – ha detto il cardinale – a mistificazioni né ci siamo nascosti le situazioni drammatiche che abbiamo voluto attraversare. La santità di questa terra non è quella delle pietre, ma quella dei cuori, le beatitudini non sono fuga, ma si incarnano nella drammaticità della storia”. Il pastore Garrone, interpreta così il pensiero di tutti: “Siamo stati evangelizzati, abbiamo incontrato dei beati, dei mansueti, dei costruttori di pace, delle persone in lutto che, rinunciando all’odio, hanno ritrovato il senso della loro vita. Non avevamo molto da insegnare, siamo noi che abbiamo potuto verificare segni sicuri del regno in un mondo che ne annuncia il contrario”.

Carla Casella

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Tratto da SAE Notizie – Periodico del Segretariato Attività Ecumeniche
Anno VII – N. 3  – Settembre 2004