La parola di Dio è invito a riconoscere il prossimo e l’assoluto divino

di Rosangela Vegetti

Un appuntamento che si ripete ormai da 23 anni quella della Giornata di riflessione ebraico-cristiana e che ogni anno rafforza le ragioni originarie di tale evento, di approfondimento e di riflessione appunto tra mondo ebraico e cristiano, ed apporta una ricchezza sempre maggiore nell’incontro delle tradizioni e spiritualità. Si è così passati dai primi incontri tra persone appassionate e profetiche verso questo campo di dialogo, alla scelta di affrontare una lettura a due voci dei comandamenti – e quest’anno si è centrata sulla la parola ‘Non uccidere’ -, si è consolidata la proposta da parte del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano che della Giornata se ne fa carico da anni, e si è aggiunta quest’anno la compartecipazione della Scuola biblica diocesana in città che ha unito nel proprio ciclo di lezioni la riflessione ebraico-cristiana, e dell’Università cattolica che ha ospitato l’evento in Aula Magna. Il frutto più evidente è la presenza di un folto pubblico che sa di poter cogliere delle voci autorevoli di protagonisti del dialogo tra cristianesimo ed ebraismo alla scoperta delle radici comuni della fede e del mondo dei valori etici.

‘Non uccidere’ non esaurisce la sua forza nel semplice divieto di non assassinare, ma va approfondito nella sua maggiore valenza di parola che Dio ha scalfito nella roccia su cui sono stati scritti i comandamenti dati a Mosè, e che ha la forza di scalfire anche i nostri cuori. “Questo comandamento che sta all’inizio della seconda tavola della legge scolpita nella pietra – ha detto il pastore MartinI barra, presidente del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano –  è l’architrave del rispetto dell’altro e della sacralità della vita perché apre alla fratellanza universale. Così come dialogo e conoscenza portano all’atteggiamento giusto per sconfiggere le antiche e sussistenti forme di antisemitismo”. Un tema di assoluta attualità che porta a considerare tutte le forme di violenza legate alla crisi economica, ma anche ecologica, ad ogni forma di sopraffazione e di ingiustizia. “Non uccidere, oggi significa entrare nella torah , la legge di Dio, e riprenderne le parole per rifondare la società”.

In effetti, come ha spiegato mons. Borgonovo, biblista e dottore della Biblioteca Ambrosiana, le dieci parole delle tavole della legge “vogliono abbracciare tutta la vita fino al tempo definitivo di incontro con Dio. Dio e prossimo sono gli estremi del comandamento” e non basta pensare che non si deve uccidere chi non ha possibilità di difesa, ma non si deve neppure uccidere nelle forme dell’ingiustizia, dell’arbitrarietà del giudizio delle uccisioni senza ragione. Solo Dio è signore della vita, tanto che va difesa anche la vita dell’assassino, come è detto nel testo di Genesi 4, 1-16, in cui Dio punisce Caino per l’uccisione del fratello Abele ma condanna quanti volessero usargli violenza. “La vita dell’altro è un valore da rispettare” è il senso pieno di questo comandamento e nell’unico vero Dio sta la ragione del rapporto di rispetto e di difesa del prossimo. La bibbia dice infatti, con le parole di Giacobbe verso Esaù: “Guardando il tuo volto vedo il volto di Dio”.

Ma c’è bisogno oggi di questo comandamento, si è chiesto rav Laras, protagonista fin dalla prima ora di questa Giornata, perché se è tendenza innata nell’essere umano a rispettare la vita, apparirebbe un divieto inutile, ma in realtà tale comando è in stretta connessione con ‘ama il prossimo tuo’ e allora qui bisogna impegnarsi molto perché non ci viene d’istinto di amare il lontano, lo straniero, il nemico. “Fin dai primordi – dice rav Laras – l’immagine di Dio impressa nell’uomo consente di dominare l’istinto del male. Noi siamo custodi dei nostri fratelli, al contrario di quello che vuol sostenere Caino”. Chi uccide un uomo è come uccidesse l’umanità e chi salva un uomo salva l’umanità. Perché Dio ha creato un uomo unico e una donna unica, per indicare che tutti siamo uguali, senza raffronti, ma anche sta a significare che “con un solo conio, Dio ha dato origine a monete diverse, e in questo mondo ognuno di noi può dire ‘è per me che è stato creato il mondo’. Di qui la forza del comandamento di salvare e difendere il mondo”.