Relazione finale

A cura di Piergiorgio Acquaviva, Dorothee Mack, Dragoslav Trifunovic

A conclusione del nostro mandato, riteniamo utile ripercorrere gli ultimi due anni, segnalando lo “stato di salute” del nostro Consiglio, ricordando quanto è stato realizzato con la collaborazione di tutti, o quasi tutti; formulando alcune domande; avanzando qualche osservazione; affidando al nuovo Comitato di Presidenza la prosecuzione del cammino intrapreso e il rinnovamento creativo della testimonianza delle Chiese Cristiane di Milano che fanno parte del CCCM.

Tre i punti che vorremmo sottolineare.

  • La nuova stagione ecumenica che ci è dato di vivere, a livello grande, mondiale, e a livello piccolo, locale.
  • Alcune considerazioni sul nostro modo di essere, valutando la nostra attività, la testimonianza che diamo all’esterno, ma anche i nostri rapporti di rispetto, stima, amicizia, fratellanza, a livello di delegazioni e a livello personale.
  • Una serie di domande, che facciamo a noi stessi e a tutti voi, e che affidiamo con speranza e fiducia nelle mani del nuovo Comitato di Presidenza.

Ma prima farei una premessa a tutto il discorso ed è una premessa utile e opportuna perché spesso trascurata o fraintesa. E invece occorre ancora una volta ribadire una caratteristica che da sola basterebbe a legittimare l’esistenza del nostro Consiglio di Chiese. Lo afferma il nostro atto di nascita, ce lo ricorda tutta l’attività – faticosa e gioiosa a un tempo – svolta in questi 18 anni di vita, dal 1998. 

Il Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano è una comunione di Chiese, non l’unica né la più esemplare e perfetta. Una possibile comunione, inevitabilmente incompleta e da rendere sempre più ampia e convinta.

Si tratta di una creatura fragile, che deve fare attenzione a non confondersi con le singole realtà grandi e piccole che la compongono. 

E’ una realtà in ascolto della Parola, che nasce in quanto convocata dallo Spirito, non certo per bravura o grandezza o intuizione umana. 

La sua logica, il suo metodo di funzionamento, il suo modo di essere si basano sulla parità fra tutti i partner, e sulla delicatezza e sul rispetto dell’“altro”. 

Un metodo intrinsecamente multilaterale, perché non basta una singola convocazione, sia pure “ecumenicamente ispirata”, affinché esso viva e operi. Occorrono una partecipazione delle volontà e una coscienza responsabile, che tengano uniti memoria delle origini e discernimento dei nuovi segni dei tempi, tenacia e spirito di servizio.

Su questo punto crediamo di essere riusciti a mantenere le posizioni, anche quando non tutti ne erano davvero convinti, quando i rapporti bilaterali hanno rischiato di prendere il sopravvento e forte è stata la tentazione di cambiare strada.

  1. E veniamo al primo punto. Il panorama in cui ci poniamo, operiamo e viviamo.

In questi due anni abbiamo visto accadere sotto i nostri occhi tragedie impensabili, situazioni di sofferenza, crisi umanitarie. Certo ci sono stati e ci sono – grazie a Dio –  anche gesti di solidarietà, mobilitazioni straordinarie, conversioni del cuore e delle mente; ormai nessuno può più dire “non sapevo…”, ma molto resta ancora da fare, soprattutto a livello di consapevolezza. 

Tutte le nostre Chiese – e tante altre realtà religiose nel mondo – nel corso della storia hanno vissuto e sopportato violenze e persecuzioni, e alcune di esse ancora ai nostri giorni portano

ferite sanguinanti e piangono propri figli e figlie. 

Tutti noi preghiamo e facciamo il possibile per asciugare lacrime e consolare. Ma che dire di quella diffusa sensazione che nulla possa davvero cambiare? Una sensazione che ammorba l’aria e si nutre di solitudine, stanchezza e rassegnazione, depressione e autogiustificazione. 

Il confronto con le grandi sfide della secolarizzazione e del fondamentalismo – che promettono cambiamenti illusorii – ci fa sentire più umili, ci fa riflettere e ci apre gli occhi. Nasce così l’ecumenismo della testimonianza, o quella che è stata chiamata “geopolitica della misericordia”.

Come si diceva nell’ultima nostra assemblea, che abbiamo tenuto a Monza, e per la quale non cessiamo di rendere grazie, è qui che interviene lo Spirito, il quale ci insegna la misericordia e il perdono, da chiedere e da offrire, al di là della logica della pretesa reciprocità.

Ma vogliamo ricordare che viviamo anche tempi esaltanti, perché assistiamo a una nuova stagione dell’ecumenismo, attraverso una rete di rapporti improntati a novità e sincerità, nel comune riconoscersi peccatori, zoppicanti, balbettanti, gravati da zavorre che la storia ha posto sulle nostre spalle, eppure fratelli e sorelle.

Collaborazione, dialogo e fraternità tracciano il cammino nuovo che stiamo intraprendendo.

E fondamento del rapporto di fraternità non può che essere il riconoscimento da parte di tutti della reciproca alterità. 

Abbiamo più volte fatto un inventario (inevitabilmente incompleto) dei fronti in movimento che l’ecumenismo ci presenta e sui quali ci sentiamo sollecitati:

  • I nuovi rapporti inaugurati dal Vescovo di Roma, papa Francesco, con le Chiese sorelle evangelico-protestanti, dai Valdesi ai Luterani; 
  • La fraternità ormai molto avanzata della Chiesa Cattolica con il Patriarcato Ortodosso di Costantinopoli e la ripresa di rapporti distesi e di collaborazione con la Chiesa Ortodossa di Russia; e questo tocca in qualche modo anche il Grande Sinodo Panortodosso;
  • I lavori comuni fra Chiese, che hanno visto la scrittura comune cattolico-luterana di un rapporto sull’unità significativamente intitolato “Dal Conflitto alla Comunione” e la preparazione di un “Common prayer” cattolico-luterano, che sarà utilizzato il 31 ottobre prossimo a Lund in Svezia  – alla presenza del Vescovo di Roma Francesco e dei vescovi luterani locali e non solo – per la cerimonia di apertura della commemorazione comune dei 500 anni dalla affissione da parte di Martin Lutero, sul portone della chiesa del castello di Wittenberg, delle 95 tesi contro le indulgenze, e questo avviene proprio nel corso di un Anno Santo dedicato alla Misericordia;
  • l’avvio di un lavoro congiunto per la preparazione di una liturgia battesimale comune fra Diocesi di Pinerolo e Chiesa Valdese locale; 
  • infine, sempre all’interno delle relazioni fra Chiese sorelle, c’è da ricordare che venerdì 10 giugno, una delegazione della Comunione mondiale di Chiese riformate (CMCR) ha fatto visita in Vaticano, ricevuta da papa Francesco. Da parte riformata è stato sottolineato come «la relazione tra giustificazione e giustizia sia uno dei capisaldi teologici della tradizione riformata e come la lotta all’ingiustizia economica, ecologica e di genere sia intesa dalla Cmcr e dalle chiese evangeliche italiane come un’espressione viva della fede cristiana». Da parte sua Francesco ha dichiarato: «Dobbiamo anzitutto essere grati a Dio per la nostra fraternità ritrovata». Tale fraternità «non è la conseguenza di un filantropismo liberale o di un vago spirito di famiglia, ma si radica nel riconoscimento dell’unico battesimo e nella conseguente esigenza che Dio sia glorificato nella sua opera. In questa comunione spirituale cattolici e riformati possono promuovere una crescita comune per servire meglio il Signore».
  • La stesura di un appello ecumenico (cattolico-protestante-ortodosso) contro la violenza sulle donne;
  • Il successo delle prime realizzazioni di Mediterranean Hope, i corridoi umanitari ideati dalla Comunità di Sant’Egidio e dai Valdesi insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche.  

Nel nostro piccolo, poi, abbiamo allargato il nostro perimetro, accogliendo la Chiesa Avventista come membro e la Chiesa Ortodossa di Georgia come osservatore. Siamo anche felici del ritrovato coinvolgimento della Chiesa Copta e della Chiesa Bulgara. Abbiamo anche tentato di vivacizzare le nostre riunioni attraverso metodi più partecipativi e dialogici. L’incontro sul perdono è stato un esempio – credo – giudicato positivamente da tutti.

Stiamo anche approfondendo temi impegnativi, come il significato del Sinodo Panortodosso e del 500° anniversario della Riforma di Lutero.

Alla base di questi appuntamenti c’è la considerazione che se il passato non può essere cambiato, si può decidere il modo di ricordare, non più con spirito di contrapposizione ma da fratelli e sorelle. Per arrivare a una storia comune, riconoscendo errori commessi e intenzioni stravolte, ma anche valorizzando le ricadute positive degli aggiornamenti e delle riforme sul modo di essere Chiesa.

A livello di attività “ordinaria”:

  • Gli ultimi “messaggi di Natale” hanno visto confermarsi, anche nella novità formale, il metodo di condivisione nella realizzazione;
  • abbiamo offerto alla città due belle edizioni della SPUC, la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani; anche le Giornate dedicate al dialogo ebraico-cristiano a livello di contenuto hanno certamente suscitato consenso e successo;
  • abbiamo festeggiato in maniera varia la Pentecoste, con i cinque appuntamenti l’anno scorso e l’intero pomeriggio quest’anno; 
  • nelle 26 settimane di EXPO le Chiese si sono fatte carico in maniera creativa e fedele di un appuntamento settimanale di preghiera, purtroppo disertato da troppi;
  • abbiamo continuato con successo le visite alle carceri;
  • abbiamo realizzato una bella Camminata Ecumenica nella zona di Chiaravalle, che si ripeterà anche quest’anno;
  • si è lavorato all’aggiornamento del sito e si sta lavorando a una nuova edizione di “Milano Ecumenica; è allo studio un “Calendario Ecumenico”;
  • è stato realizzato il viaggio di due giorni a Ginevra, nella culla dell’Ecumenismo.
  • non dobbiamo infine dimenticare la preziosa opera dell’Associazione Amici del CCCM, che ci ha aiutato nel sostenere – in maniera autonoma – alcuni impegni di spesa che la nostra attività comporta; occorre sostenere questo strumento anche in futuro.
  1. E veniamo ad alcune considerazioni sul nostro modo di essere, così come lo abbiamo  sperimentato in questi due anni. Alcune di queste considerazioni le abbiamo già espresse in altre occasioni, ma ci sembra utile e opportuno riprenderle.

Sappiamo che Milano sta cambiando. Cambia la sua composizione sociale, etnica, religiosa. Milano sembra alla ricerca della sua anima, perché i parametri utilizzati in passato non bastano più. Occorre chiedersi dove stiamo andando e che tipo di città vogliamo.

Abbiamo dedicato uno degli appuntamenti della SPUC 2016 al tema “come l’immigrazione sta cambiando le nostre Chiese” ed è un peccato che tanti di noi non fossero presenti. L’impressione è stata di una scarsa sensibilità da parte di molti di noi nei confronti dei protagonisti dell’incontro, delle loro testimonianze, ma anche nei confronti del tema stesso. In quella occasione, comunque, abbiamo imparato molto sul presente e il prevedibile futuro delle nostre comunità.

Anche il Consiglio sta cambiando. Abbiamo avuto negli ultimi anni un considerevole turn-over di presenze. Ci sono state partenze, arrivi, avvicendamenti più o meno tranquilli.

E quindi anche il Consiglio delle Chiese deve decidere cosa vuole essere oggi e domani, e come tutti noi dobbiamo rispondere alle nuove domande di senso e di crescita umana e spirituale che arrivano dalle nostre comunità, ma anche dalle nuove realtà che guardano a noi, e perfino da quelle realtà che ignorano la nostra presenza.

In quest’ottica è certamente benvenuta l’iniziativa che la commissione pastorale ha faticosamente partorito, di sviluppare da settembre una riflessione che – custodendo ovviamente il tesoro delle origini e le caratteristiche che fanno di noi una “comunione di Chiese” (come dicevo nella introduzione) – ci illumini sui modi e i tempi della apertura al nuovo che ci interpella.

Si dice: c’è un “Ecumenismo di base” che cammina sulle proprie gambe e che a noi spetta di riconoscere e rispettare. Certamente. Credo che i frutti di una semina più che decennale si comincino a vedere, soprattutto là dove la collaborazione fra realtà diverse è costante e rispettosa. Il caso del Decanato Cagnola e della sua Veglia nel tempo di Pasqua, con la costante collaborazione con i battisti di via Jacopino da Tradate e i copti ortodossi, è esemplare.

Ma attenzione, non tutto ciò che viaggia sotto il nome di “ecumenico” lo è realmente. Occorre almeno un “trialogo”, cioè una dinamica che tenga presente le tre realtà di base dello sviluppo storico del Cristianesimo, in Occidente e in Oriente. Da questo punto di vista, ci è di consolazione il fatto che questo metodo viene utilizzato anche da altre realtà che battono il terreno dell’ecumenismo, come il SAE per esempio, con il quale si potrebbe pensare a una più stretta collaborazione.

La partecipazione. Un vero rebus, per risolvere il quale non sono finora serviti i richiami. E pensare che l’esperienza del CCCM era cominciata proprio su basi di amicizia e stima personale, di voglia di stare insieme, di curiosità per l’altro e per la sua storia. C’è il problema degli impegni lavorativi, degli impegni pastorali e ministeriali nelle proprie comunità.  Abbiamo provato a chiedere proposte concrete di cambiamento di orario e di giorno per la riunione, ma non ne sono arrivate.

Un suggerimento che ci permettiamo di dare è provare ad allargare le delegazioni in modo da aumentare le possibilità di partecipazione delle diverse componenti.

Lo stesso discorso vale per un cambiamento di “struttura” delle nostre riunioni, giudicate a volte ripetitive e poco coinvolgenti. Spesso chi chiedeva di cambiare non era poi presente alle riunioni che proponevano diversa scaletta e altra modalità. Né credo sia una soluzione efficace limitare il numero delle riunioni a due-tre volte l’anno. Il Consiglio rischierebbe così di scomparire del tutto, di ridursi a un guscio vuoto. O meglio, finirebbero con il prevalere le realtà più grandi e strutturate a scapito di quelle più piccole che proprio da un confronto continuo, rispettoso e costruttivo con le Chiese sorelle sono incoraggiate a sviluppare lo spirito e la prassi di un ecumenismo sempre più consapevole.

Occorrerà anche allargare il nostro bacino di riferimento per far giungere notizie e commenti dal mondo ecumenico, dal piccolo ambito locale e dal macro ambito universale. Occorrerà elaborare una “newsletter” per comunicare le novità che via via pubblichiamo sul sito, per ovviare alla circostanza della scarsa conoscenza di quello strumento (sarebbe però utile e opportuno che almeno i membri del Consiglio lo guardassero di tanto in tanto e segnalassero le notizie che si ritengono “ecumenicamente rilevanti” da pubblicare).

  1. E qui procedo rapidamente con alcune domande. 

Abbiamo fatto e facciamo tutto il possibile per dare gambe alle nostre iniziative? Quanti di noi hanno parlato del CCCM nelle proprie comunità, hanno affisso le locandine, hanno informato degli appuntamenti sollecitando la partecipazione? Quale ecumenismo viviamo realmente? Come l’abbiamo travasato nella pastorale ordinaria? Abbiamo riletto insieme la Charta Oecumenica: ma prendiamo sul serio gli impegni che pure abbiamo sottoscritto? La partecipazione al Consiglio, ai lavori delle commissioni, alle iniziative, è da noi considerata una priorità? Cosa facciamo per garantire una presenza costante della nostra delegazione? (i dati di partecipazione delle varie Chiese evidenziano un nucleo abbastanza stabile e fedele; una zona intermedia; ma anche la circostanza di alcune Chiese troppo frequentemente assenti).

Concludo con l’augurio di continuare il nostro cammino lungo la strada di una unità sempre più perfetta, come realtà diverse eppure convergenti verso l’unico Signore Gesù Cristo.  Lo definisco l’”ecumenismo possibile”. Dobbiamo davvero imparare a essere proprio come fratelli e sorelle, simili e al tempo stesso dissimili: solo così potremo risultare credibili di fronte al mondo, e anche di fronte a noi stessi. 

Un sincero grazie ai miei collaboratori, a Dorothee Mack, a Dragoslav Trifunovic (e a Pompiliu Nacu per il suo impegno nel primo anno), a tutti coloro che in questi due anni hanno accompagnato fattivamente il nostro cammino, all’Ufficio ecumenismo per quanto ha voluto collaborare alla nostra azione, agli amici di Claudiana per la ospitalità ordinaria e continua (ma anche a padre Tovma e padre Pompiliu per l’ospitalità eccezionale di dicembre e maggio). E grazie ancora a tutti voi per la vostra amicizia e fraternità.